L'impatto ambientale delle mascherine sanitarie è alto

2022-06-25 02:25:28 By : Ms. Nina He

Le mascherine sanitarie ci proteggono – o proteggono gli altri – ma hanno un alto impatto ambientale: per produrle ma soprattutto per smaltirle… dando per scontato che nessuno poi le butti per strada (come invece avviene)

L’impatto ambientale di questa emergenza sanitaria dovuta al Covid-19 sul nostro sistema di vita, sul Pianeta e sui cambiamenti che da questa esperienza scaturiranno per tutta l’umanità è un dato che sarà ancora tutto da scoprire.

In molti casi lo sentiremo lontano, in altri faremo finta di non sentire e vedere per non perdere le comodità acquisite; in altri ci troveremo a fare i conti con nuove necessità che dovranno diventare abitudini o imposizioni di legge.

Per avere una minima idea di quale impatto avranno i cambiamenti nello stile di vita che dovremmo affrontare, abbiamo trasformato in numeri il potenziale di impatto sull’ambiente delle mascherine sanitarie: forse il più insignificante tra i problemi, ma anche la più visibile espressione di quello che solo in Italia può determinare un cambiamento di abitudine.

Nel nostro Paese si stima un fabbisogno mensile di almeno 100 milioni di mascherine che, divise tra i 60.350.000 di residenti in Italia, significano meno di 2 mascherine al mese a testa.

Se aggiungiamo le mascherine sanitarie utilizzate in ospedali, case di riposo, uffici pubblici e negozi, il dato ci pare decisamente sottostimato.

Produrle e smaltirle sono i due grossi problemi che dobbiamo affrontare nell’immediato. Ma molte aziende si stanno organizzando per far fronte a ciò.

In verità non sappiamo con chiarezza quante sono le aziende che dispongono di moderne linee di produzione, anche perché molti produttori acquistano direttamente dalla Cina – modelli magari studiati in Italia, ma assemblati laggiù e spediti a 9.900 km di distanza.

E sappiamo bene che una grande nave porta-container, per compiere un viaggio così lungo, inquina, da sola, molto di più di tutte le auto che potrebbe stivare se percorressero lo stesso tratto.

Queste navi sono la seconda fonte di inquinamento al mondo, a causa dei carburanti di scarsa qualità, tipo bitume, che a volte devono essere portati oltre 100°C per essere iniettati nei loro grandi motori e il mare oltre le 12 miglia è di tutti, quindi di nessuno. Nel calcolo della Lca (life cycle assessment) questo dato spesso manca totalmente.

Ecco dunque che in questo articolo tentiamo di fornire un idea di quanto, per noi italiani, questo cambio di abitudini avrà impatti sull’ambiente, usando come base di ragionamento le poco realistiche previsioni del fabbisogno di mascherine chirurgiche.

Sperando al tempo stesso che l’esperienza Covid-19 stia insegnando qualcosa ai nostri politici sulle produzioni che dovrebbe essere normale mantenere sul territorio nazionale, perché strategiche.

L’Italia è un bel paese, ma pur sempre assai piccolo rispetto a molti altri. Quindi occorrerà uno sforzo di immaginazione per moltiplicare per i 4 continenti oggi infestati dal virus, questa stima di impatto sul Pianeta.

La ditta Mediberg di Bergamo (www.mediberg.it) scrive sul suo sito che le maschere chirurgiche, cioè il tipo che siamo chiamati a indossare come cittadini per proteggere gli altri da noi stessi, hanno misure standard di 18x9cm, ovvero coprono una superficie di 162cm2 e hanno un peso inferiore a 4gr cadauna.

Sono generalmente composte da 3 strati di tessuto non tessuto, prevalentemente in fibra sintetica di polipropilene o di microfibra di base poliestere; almeno quelli approvati dalle varie normative europee come la EN14683.

Quindi, in totale, la superficie occupata dai tessuti della mascherina è di 486cm2 per circa 1mm di spessore.

A mettere in fila 100 milioni di mascherine si creerebbe una striscia di 54mila chilometri; ogni mese. Poiché la distanza Terra-Luna è di 384.403 chilometri, questa verrebbe coperta in 7,11 mesi. In 213 giorni gli italiani si potrebbero collegare alla Luna attraverso un ponte ultraleggero e a basso costo.

Ma se decidessimo che questa impresa sia rischiosa, potremmo sempre pensare di creare con le nostre mascherine una cintura intorno all’Equatore; in fondo siamo il Paese del tessile e della moda.

Poiché è noto che la circonferenza della Terra è di 40.075km basterebbe 1 solo mese per avvolgerla e, anzi, ne avanzerebbe un ulteriore terzo per farci il fiocco. Una cintura al mese anche in vari colori: azzurro, verde acqua e rosa.

E se, per essere più concreti e sfruttarle per una seconda vita, volessimo coprirci le serre per orticoltura (il materiale di produzione è sintetico e sortirebbe lo stesso effetto) e in fondo ri-cestinare ogni mese quel materiale, potremmo coprire una superficie di 4,860.000 m2 = 4,86km2.

Siamo un paese di sportivi: un campo di calcio internazionale misura al massimo 110×75 metri. Ne copriremmo 589. Se il football non fosse di nostro interesse e preferissimo l’arte o la storia, potremmo pensare di proteggere lo Stato del Vaticano – 44 ettari di superficie – 11 volte ogni mese, addirittura una volta ogni 3 giorni. Gli eviteremo la corruzione del tempo come dalla polvere delle centrali a carbone e dalle microplastiche.

Partiamo dal fine vita della mascherina. Poiché siamo coscienti che comunque, ogni mese, dovremmo portare via tutti quei rifiuti plastici è necessario pensare a come smaltirli. L’unica soluzione ragionevole oggi è la termovalorizzazione; dovremo incenerirle insomma.

Perché alle cifre che si vogliono pagare le mascherine usa e getta, l’unico materiale funzionale per produrle a basso prezzo è il petrolio e i suoi derivati. Sarebbe materiale da non sprecare, usualmente si rigenererebbe in nuovo polimero; ma nel caso delle mascherine usate occorrerebbe prima una loro sanificazione e dubitiamo che qualche politico se ne prenderebbe la responsabilità, non solo per questioni economiche.

Si sterilizzano i rifiuti ospedalieri prima di essere comunque bruciati ma è un conto salato già quello, figurarsi se poi dovesse andar male qualcosa nelle fasi di raccolta, trasporto e riconversione: nessun politico se ne assumerebbe il rischio. Quindi la strada è segnata.

Tuttavia, restano ancor dei calcoli da fare: quanta CO2 l’Italia immetterà in più da questo mese in atmosfera per trasformare la materia prima, trasportarla, confezionarla, distribuirla fino a chiudere il cerchio bruciando il tutto?

Dal sito eniscuola.net ricaviamo intanto il dato che per bruciare 256 mascherine di plastica si immettono in atmosfera 1,39 kg di CO2, ovvero 542.000 kg al mese (6 milioni/kg in 1 anno) che andranno ad aggiungersi a tutti quelli emessi per la produzione e il trasporto. Sono calcoli comunque approssimativi anche se confortati da ragionevolezza.

Secondo l’ente certificatore danese Nordik Ecolabel, che testa l’impronta ambientale di molti prodotti e imballaggi che finiscono sugli scaffali dei supermercati, per produrre 1 kg di fibra di polipropilene si immettono in atmosfera 3,9kg di CO2.

Se fossero di poliestere, la fibra di gran lunga più prodotta nel Pianeta (60 miliardi di kg ogni anno) ancora peggio. Per produrre 1 kg di mascherine occorrono 250 kg di fibra, che hanno prodotto 1.560.000 kg di CO2 ogni mese, oltre 18 milioni e mezzo ogni anno.

Un areo in volo da Roma a New York con 250 persone a bordo produce 246.500 kg di CO2, secondo i siti specializzati delle compagnie aeree; quindi è come trasportare in su e giù per l’atlantico 3 volte al mese 1.500 persone.

In 1 m3 ci possono stare fino a 20.576 mascherine, occupando uno spazio di 4.860 m3 al mese. Per dare un’idea dello spazio necessario per stoccare questa quantità: il duomo di Milano ha un volume di 440.000 m3. Per stiparlo di mascherine usate, al ritmo di 1,2 miliardi mascherine/anno, impiegheremo 7 anni e mezzo.

Ma il fatto è che la raccolta di 1,2 miliardi di mascherine avrebbe bisogno di essere trasportata in Tir di 12 metri di lunghezza, che contengono 54 m3 di materiale ciascuno, ogni anno: servirebbero pertanto 1.062 autisti per condurre altrettanti Tir ogni mese. 13.000 ogni anno.

Quanto gasolio e quanta CO2 vanno aggiunti al nostro calcolo?

Volvotrucks.it ci ha indicato un consumo medio di 24 litri/100 km a camion; secondo l’Icct – ente che ha fatto scoppiare lo scandalo del dieselgate – la combustione di 1 litro di gasolio produce 2,6 kg di CO2.

Facendo un calcolo medio di percorrenza di 100 km per movimentare la materia prima fino ai siti di produzione delle mascherine (intervengono almeno 4 passaggi) si arriva a un impatto annuale di 13.250.000 kg/CO2.

In conclusione si può stimare dunque una produzione totale annuale di CO2 di circa 15 milioni di kg, ovvero l’equivalente di quella prodotta da 33 Jumbo della Boeing o, se preferite, da 5 razzi Apollo 6.

Tutti noi dobbiamo prendere coscienza che il nostro necessario sentirsi protetti, costa molto in termini di inquinamento ambientale, non solo economico; occorre pensare al gesto che facciamo e che ogni spreco è una sottrazione a chi ha veramente bisogno.

Sulle spiagge di Taiwan, allo sbocco dei fiumi in Cina si racconta di migliaia di mascherine portate dalle acque e dall’incuria. Un’ulteriore minaccia all’ambiente!

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